Una Harley diversa dal solito: odora di patatine, usa un carburante fuori dagli schemi e punta a cambiare le regole del gioco.
All’apparenza è una Harley come tante, ma basta avvicinarsi per capire che c’è qualcosa di radicale: niente rombo da V-Twin, solo il borbottio ruvido di un diesel agricolo e uno scarico che sa, lievemente, di friggitrice industriale. È l’opera di Alex Jennison, studente di ingegneria alla University of British Columbia, che ha preso un telaio Harley-Davidson del 1999 e l’ha trasformato in una moto “manifesto”: un mezzo a gasolio che brucia biodiesel ricavato anche da olio di cucina, progettato per dimostrare che l’alternativa ai combustibili fossili non è soltanto la spina.

Il progetto è nato cper far vedere su strada che i carburanti puliti possono funzionare oggi, con i veicoli che esistono già. E per spostare il discorso fuori dai laboratori, Jennison ha preparato un viaggio lungo, con tappe in alcuni dei campus più influenti della West Coast. Un percorso che racconta anche una presa di posizione etica maturata presto, davanti ai lati oscuri delle filiere delle batterie.
L’Harley diesel al biodiesel
La notizia vera è il tour: 1.200 miglia, da Vancouver a Los Angeles, con sette soste accademiche tra cui Stanford e Berkeley per spiegare la sua soluzione e metterla davanti a studenti e ricercatori. L’idea di fondo è semplice e provocatoria: se i camion possono ridurre fino al 74% la CO2 usando biodiesel sui mezzi già in circolazione, perché le flotte universitarie non potrebbero alimentarsi con il carburante prodotto dagli scarti delle proprie mense? Qui la moto fa da ambasciatrice itinerante di una tecnologia sviluppata alla UBC per funzionare anche nei climi freddi, pensata inizialmente per i 400 veicoli dell’ateneo.

Sotto il serbatoio, c’è un Kubota di 1.600 cc e 34 CV, donato dal costruttore, accoppiato a un telaio Harley dell’ultima generazione con motore e cambio separati, scelta che ha reso meno traumatico l’innesto della meccanica agricola. L’adattamento non è stato una passeggiata ma il risultato è una “prova su ruote” che marcia, fuma poco e soprattutto racconta un metodo replicabile.
Non mancano i sostegni: la UBC e Kubota sono della partita, ma un viaggio così richiede benzina anche per l’organizzazione. Per questo è partita una raccolta fondi mirata a coprire alloggio, veicolo d’appoggio, videomaker: l’obiettivo è amplificare il messaggio oltre le aule, portandolo a chi magari non verrebbe a un seminario.
Lungo il percorso ci sono anche i momenti dimostrativi: video, spiegazioni del motore, il suono metallico del quattro tempi giapponese che spinge una cruiser americana. Il paradosso è voluto: prendere un’icona vorace di benzina e farla viaggiare con olio di patatine, per ricordare che sostenibilità può voler dire anche riusare ciò che buttiamo e spremere soluzioni immediate dai mezzi che abbiamo già.