Questa moto prende il nome da una parolaccia: il motivo è più che giusto, va che è una follia

Una parolaccia che diventa moto. Non si tratta di una follia ma della espressione più naturale per chi sale in sella a questa nuova belva

Se siete mai saliti su una moto che al primo colpo di gas vi ha lasciati senza parola, anzi vi ha strappato una parolaccia, sapete già il tipo di emozione da cui nasce la due ruote decisamente singolare di cui ci stiamo per occupare. L’idea di prendere una vecchia Simson e trasformarla in una bestia da 50 cavalli poteva sembrare già di per sé una provocazione, ma qui siamo oltre.

Moto parolaccia
Una moto che strappa un’esclamazione – nextmoto.it

Tony Möckel, giovane tecnico tedesco, ha voluto fare qualcosa che lasciasse il segno e il risultato è una moto che lascia il segno, non solo per il nome che fa sorridere, ma per una serie di scelte tecniche e stilistiche che la rendono un vero oggetto da collezione.

Una parolaccia che va davvero forte

La base è quella della S 51, una moto storica dell’Est Europa, ma basta uno sguardo per capire che siamo davanti a un’altra cosa perché il motore, la ciclistica, la carrozzeria, insomma ogni singolo dettaglio è stato ripensato, con una cura quasi maniacale. E poi c’è la dedica, che non è una semplice scritta sul serbatoio, ma un tributo sentito a Ken Block, il funambolo delle quattro ruote. Ma andiamo con ordine, perché la Holy Bastard ha molto da raccontare.

Moto parolaccia
La Holy Bastard di Tony Möckel (Motorrad online) – nextmoto.it

Dietro quel nome che non si dimentica, c’è un progetto che sfida ogni logica: il cuore della Holy Bastard è un due tempi Rotax dd2 da 125 cc, lo stesso che si trova sui kart da competizione, ma qui la potenza è salita fino a 50 cavalli, roba da far impallidire molte moto di cilindrata superiore.

La moto segna solo 100 chili sulla bilancia e se fate due conti comprenderete che il rapporto peso-potenza è da vera sportiva: la velocità massima sfiora i 150 km/h, il che non è male per una “cinquantina” nata per ben altri scopi.

Il raffreddamento è affidato a un doppio radiatore, con una pompa dell’acqua presa in prestito da un Volkswagen Transporter T6. Si tratta solo di un dettaglio ma fa capire quanto sia stato importante, per Möckel, non lasciare nulla al caso.

La ciclistica, non sorprendentemente, è stata ripensata da zero: il telaio, derivato da una Simson GP, è stato rinforzato per gestire le nuove prestazioni, davanti c’è una forcella rovesciata WP, dietro due ammortizzatori YSS: la guida è precisa e sicura, anche in situazioni un po’ estreme.

A gestire il tutto ci sono i freni, che contano su tre dischi wave da 320 mm con pinze Brembo radiali, tanto per ricordare che la potenza va sempre tenuta sotto controllo.

E poi c’è l’estetica, che non lascia spazio ai dubbi: la livrea giallo fluo e nero è un pugno nell’occhio, in senso buono mentre il sedile Recaro, montato su una base in carbonio, è un tocco di classe, spostando lo sguardo si ammira il serbatoio custom, realizzato con la collaborazione di due artigiani. Il frontale, con doppia ottica LED, dà alla moto un’aria quasi futuristica.

Tony Möckel si conferma uno che non ama le mezze misure e questa Simson, con quel nome che fa sorridere, è la prova che a volte la follia ha davvero un senso.

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