La Yamaha che strizzava l’occhio ad un’iconica Triumph: fu un flop in Europa per un motivo ben preciso

Pensata per l’America e ispirata alla Triumph Bonneville, la Yamaha XS 650 mescolava modernità e scelte che in Europa fecero flop

Nel 1969 la Yamaha XS 650 entrò in scena con ambizioni chiare: parlare al pubblico americano con un linguaggio familiare, quello delle bicilindriche inglesi, ma con l’affidabilità nipponica. Il rimando alla Triumph Bonneville era evidente nelle forme e nell’impostazione, però i tecnici di Iwata inserirono soluzioni più attuali per l’epoca: distribuzione monoalbero in testa e trasmissione primaria ad ingranaggi.

Yamaha flop europeo
Yamaha, un flop europeo (Wikimedia Commons) topmoto.it

Il risultato fu una moto che da ferma sembrava tradizionale, ma da accesa mostrava carattere. Il problema, almeno da noi, fu altrove: freni e dettagli ormai datati, insieme a un prezzo poco competitivo e a un look giudicato vecchio già al debutto, ne limitarono la corsa. Negli Stati Uniti, invece, trovò terreno fertile e una carriera lunga oltre dieci anni, tra aggiornamenti mirati e versioni dal sapore custom.

Yamaha XS 650 e il richiamo alla Triumph

Il progetto nasce all’inizio degli anni Sessanta, quando negli USA si irrigidiscono le norme sulle emissioni e a Iwata si decide di puntare su bicilindrici quattro tempi dall’impronta classica, pensati soprattutto per quel mercato. La XS 650, presentata al Salone di Tokyo del 1969, propone un twin parallelo da 653 cm³ raffreddato ad aria con monoalbero a camme in testa, affiancato da trasmissione primaria ad ingranaggi, scelte più evolute rispetto alla scuola britannica a aste e bilanceri. A contrasto restano il tamburo anteriore e l’avviamento a pedale, elementi che pesano nella percezione.

Il motore eroga 53 CV a 7.000 giri e 5,5 kgm a 6.000, con frizione multidisco in bagno d’olio e cambio a cinque marce a innesti frontali. Il telaio è una doppia culla in acciaio, con forcella teleidraulica da 34 mm e due ammortizzatori posteriori regolabili su tre posizioni. Freni a tamburo (doppia camma da 200 mm davanti, monocamma da 180 mm dietro), ruote a raggi 19”/18” e 198 kg in ordine di marcia completano il quadro.

Alla guida il bicilindrico risulta subito convincente: parte facile a pedale, ha una voce piena, sale e scende di giri rapido, rende meglio sopra i 5.000 e invita a tirare fino a 7.500, supportato da un cambio preciso anche se con corsa lunga. L’avantreno è svelto nel lento, lo sterzo non chiude nei tornanti, ma al crescere dell’andatura emergono i limiti: forcella cedevole, posteriori poco efficaci e ondeggiamenti in uscita di curva. Anche il freno anteriore non è all’altezza.

Commercialmente, in Europa non sfonda: prezzo alto e stile datato al lancio la frenano. Nel complesso, però, conquista un pubblico fedele, soprattutto Oltreoceano, dove rimane a listino a lungo. La posizione di guida turistica limita l’approccio sportivo, la forcella morbida penalizza la precisione, i freni migliorano con i dischi.

La produzione continua fino ai primi anni Ottanta e si chiude nel 1983 con la Heritage Special per il Nord America. In totale, circa 250.000 unità: una carriera lunga, nonostante i suoi limiti.

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