Un ciclomotore nato Gilera, venduto oltreoceano come Piaggio Vespa Grande: storia, tecnica e versioni del CBA, tutti i dettagli
Il nome dice tutto, o quasi. CBA sta per Ciclomotore bitubo automatico: una sigla che riassume filosofia e struttura di un mezzo pensato per essere pratico, compatto, sorprendentemente curato nei dettagli, e capace di parlare sia al pubblico italiano sia a quello nordamericano, dove veniva proposto dalla divisione statunitense di Piaggio come Vespa Grande, pur essendo di fatto un Gilera a tutti gli effetti, per telaio, motore e impostazione generale.
Il periodo è quello giusto per i cinquantini a pedali: tra fine anni Settanta e il decennio successivo, il CBA si inserisce nella famiglia dei ciclomotori leggeri, con soluzioni condivise con Ciao, Sì, Boxer e Bravo, ma con una personalità definita dal telaio bitubolare con serbatoio integrato e da un vano anteriore ribaltabile che lo rende subito riconoscibile nell’uso quotidiano.
La doppia identità Vespa-Gilera
La scelta di un due tempi 49 cm³ orizzontale, raffreddato ad aria e alimentato lateralmente sul carter, punta alla robustezza e alla semplicità di manutenzione, mentre la trasmissione automatica a pulegge o la monomarcia consolidano l’idea di un mezzo immediato, senza complicazioni.
In Nord America il CBA debutta sotto l’etichetta Vespa Grande: un cambio di casacca commerciale utile a presidiare quel mercato con un nome fortissimo, pur mantenendo la meccanica Gilera, identica nelle quote fondamentali e nell’impostazione di telaio e trasmissione, in linea con i fratelli Piaggio dell’epoca.
In casa, il CBA affianca il CB1: quest’ultimo è l’opzione con cambio a 4 marce, cilindro verticale in alluminio cromato, avviamento a pedivella e catena, derivato da esperienze cross e trial; il CBA, invece, resta fedele al pacchetto più semplice e diffuso della famiglia Ciao/Sì/Bravo, compreso il gruppo motore-trasmissione condiviso con il Bravo.
Il telaio bitubo, firmato da Paolo Martin, integra il serbatoio, irrigidisce la struttura e libera spazio per un vano anteriore a ribalta con due poggiapiedi ripiegabili alla base: un’idea pratica, pulita, che rende l’insieme snello e moderno.
La prima serie (1977-82) si caratterizza per il tappo carburante sotto il manubrio, ruote a raggi di serie (in lega a richiesta), sella fissa monoposto o lunga ribaltabile, per modulare praticità e stile. Seconda serie (1982-87): sella lunga più moderna con vano, tappo spostato sotto la seduta, ruote in lega di serie, piccolo portaoggetti sotto il clacson, con possibilità di corpo faro e marmitta cromati come optional.
Con la Super Sport (1987-89) arriva il piccolo cupolino, le plastiche sottosella con portanumero e vari dettagli verniciati, a segnare un tono più grintoso a fine carriera.
La scheda tecnica conferma la taratura da ciclomotore urbano: 1,41 CV a 4.500 giri, rapporto di compressione 9:1, trasmissione primaria a cinghia e secondaria con riduttore nel mozzo posteriore. Telaio bitubo, tamburo centrale da 90 mm all’anteriore e 136 mm al posteriore, pneumatici 2.1/4-16 davanti e 2.1/4-17 dietro, per un equilibrio coerente con i 45 km/h dichiarati e consumi CUNA di 1,75 l/100 km: poco, semplice, efficace.