Ducati Desmosedici, da dove arriva quel nome?

Ducati Desmosedici, un nome affascinante e vincente. Molti si chiedono da dove nasce: la sua storia è davvero interessante

In MotoGP la Ducati Desmosedici è ormai una presenza quasi ingombrante, la trovi dappertutto; sorpassi, record, duelli all’ultimo metro. Eppure, se ci fermiamo un attimo a pensare al suo nome, arriva subito la domanda: che cosa significa davvero Desmosedici? Nessun mistero: c’è una storia chiara, pratica, tutta tecnica e un po’ di orgoglio bolognese.

Desmosedici perché il nome
La Ducati Desmosedici in azione ma perché si chiama così? (ansa) nextmoto.it

La storia della Desmosedici è ben nota: debutto nel 2003, primo acuto già a Barcellona con Loris Capirossi, una linea di crescita senza pause con qualche incidente di percorso; non manca chi ricorda i tempi difficili, l’arrivo di campioni abituati ad altri ambienti, qualche stagione col freno tirato, eppure la moto è sempre rimasta a galla, pronta a cambiare ritmo quando serviva.

Ducati Desmosedici, il significato del nome

Da una parte “Desmo”: parola magica per chi frequenta officine e box Ducati. Significa distribuzione desmodromica e, in due parole, è un sistema che non lascia nulla al caso; sulle Ducati le valvole non vanno mai a molle, apertura e chiusura sono decise da camme e bilancieri, così si elimina qualsiasi incertezza agli alti giri e si possono spremere i motori senza temere nessun limite meccanico, una filosofia che l’azienda ha difeso per decenni anche quando tutti gli altri erano già passati oltre.

Desmosedici perché il nome
Dove nasce il nome Desmosedici (Ducati) nextmoto.it

“Sedici”, invece, richiama subito il cuore della questione: sedici valvole, quattro per ognuno dei quattro cilindri che fanno girare la Desmosedici in MotoGP; non è un vezzo, in tutto l’ambiente corse il numero di valvole fa la differenza; ci si può giocare assetto, risposta al gas, velocità in rettilineo: ogni dettaglio, anche quello che non si vede, contribuisce alla superiorità che molti avversari subiscono da anni.

La sigla GP che si aggiunge di volta in volta (GP24, GP23, e così via) serve giusto a segnare il modello dell’anno, un modo semplice per orientarsi tra le evoluzioni, senza scomodare sigle indecifrabili o numeri di telaio.

Se si chiede a un tecnico Ducati perché non hanno mai cambiato nome, la risposta arriva in pochi secondi: “ci rappresenta, segna la differenza”. Desmosedici è ormai una specie di passaporto, la carta d’identità della MotoGP in rosso.

Se in pista la Desmosedici fa parlare di sé con risultati e prestazioni fuori scala, nel nome c’è tutto: un omaggio a una scelta tecnica mai abbandonata, una dichiarazione di appartenenza, il biglietto da visita che si vede già sulla carena, nel box e sulle tute degli ingegneri, ogni volta che si accende il semaforo della MotoGP.

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