Una moto che valeva come una casa e che oggi fa battere il cuore ai collezionisti. La sua storia, tra record e scelte controcorrente, riserva più di una sorpresa.
Negli anni Cinquanta, in Italia, la Vincent Rapide Serie D era un sogno proibito. Bastava leggere il prezzo: 850.000 lire, il doppio di una Moto Guzzi Falcone. Con quella cifra, ci si portava a casa un piccolo appartamento: decisamente non era una moto per tutti, ma un oggetto raro, pensato per chi cercava il massimo della tecnica e delle prestazioni.
In un’epoca in cui lo stipendio medio si aggirava sulle 50.000 lire al mese, la Rapide Serie D era una super-maxi fuori dal comune, capace di lasciare indietro anche le moto da corsa. Come si capisce immediatamente, non proprio un mezzo da commuters ma una chicca da veri e danarosi appassionati. La sua storia, però, è fatta di evoluzioni continue e di una fine improvvisa.
Costa carissima ma è una moto straordinaria
La Serie D rappresenta il canto del cigno della Vincent. L’ultima generazione delle celebri bicilindriche di Stevenage, affiancata dalla Black Shadow, dalla monocilindrica Comet 500 e dalle carenate Black Prince e Black Knight. Modelli raffinati, nati nel segno dell’innovazione, ma travolti dai problemi finanziari della casa madre; per capire come si è arrivati a questa moto, bisogna fare un passo indietro.

Nel 1936, al Salone di Londra, debutta la Rapide Serie A. Una bicilindrica complessa, già capace di superare i 170 km/h. Se ne producono solo 78 esemplari prima della guerra, alcuni dei quali si fanno notare anche nelle competizioni. Philip Vincent però non si accontenta: dopo il conflitto, rivede il progetto e lo migliora.
Nel 1946 arriva la Serie B. Più compatta delle altre 1.000 dell’epoca, abbandona il telaio monoculla per un trave superiore che funge anche da serbatoio dell’olio. Il motore, un V2 longitudinale, viene completamente rivisto: valvole a bagno d’olio, cambio in blocco, trasmissione rinforzata e frizione con servocomando meccanico. La sospensione posteriore, progettata da Vincent, resta invariata, mentre leghe leggere e materiali pregiati aiutano a tenere il peso sotto i 200 kg. Il risultato? Ancora più veloce e affidabile.
Solo tre anni dopo, nel 1949, tocca alla Serie C. Arriva la forcella Girdraulic in lega leggera, un singolo ammortizzatore idraulico centrale, motore con rapporto di compressione aumentato, carburatori e condotti maggiorati. La potenza sale a 55 CV a 5.700 giri, e le riviste dell’epoca parlano di velocità vicine ai 200 km/h. Due le versioni: Black Shadow e White Shadow, a cui si aggiunge la Black Lightning, ancora più potente e con freni maggiorati.
Nel 1954, la Serie D cambia ancora le carte in tavola. Due nuove versioni della Rapide e della Black Shadow, la monocilindrica Comet 500 e le carenate Black Knight e Victor. Le carene, però, non convincono: nascondono i motori Vincent e, complice il prezzo elevato, i nuovi modelli non sfondano. La crisi si fa sentire e la produzione si avvia alla fine.
La produzione si chiude nel dicembre 1955, con l’ultima Black Prince firmata dai dipendenti e soprannominata “The Last”. Una fine discreta per una moto che, ancora oggi, è l’unicorno dei collezionisti.