Quando Ducati decide di sorprendere, fa sempre centro. Il colpo di Borgo Panigale racconta di un genio tecnico che non si ferma nemmeno di fronte alle difficoltà
Oggi Ducati è la regina assoluta del MotoGp e del mercato. Una potenza assoluta che domina tutti gfli spazi, ma non è sempre stato così; anche un marchio di questo calibro ha visssuto i suoi momenti di difficoltà e di appannamento. Torniamo alla fine degli anni ’70: Ducati annaspa mentre le vendite precipitano, i passaggi di proprietà si susseguono e il “Demonio” – così gli appassionati chiamavano le sfortunate bicilindriche parallele 350/500 del ’75 – ha lasciato dietro di sé solo guai.
Serve un’idea geniale per risollevare le sorti dell’azienda e arriva nel 1979, con un nome che sa di esotico: Pantah. Non è solo una nuova moto, è la carta disperata giocata da un’azienda sull’orlo del baratro; dopo l’anteprima al Salone di Milano del ’77, la Pantah 500 entra nelle concessionarie affiancando la Darmah 900 e porta con sé un vento di novità che cambierà per sempre il DNA Ducati.
Il genio di Fabio Taglioni partorisce la soluzione riprendendo un’idea del motorista Armaroli del ’72, creando quello che diventerà il simbolo di Borgo Panigale: il bicilindrico con architettura a “L” di 90° e distribuzione desmodromica, un propulsore da 48 CV che sembra quasi sussurrare invece di urlare.
L’innovazione più grande è l’addio alla vecchia distribuzione a coppie coniche, arriva il sistema a cinghie dentate con costi di produzione ridotti e meno rumore; semplice ed efficace, come le migliori idee.
Certo, i problemi non mancano e accensioni ballerine e trasmissione rumorosa sono ostacoli da superare, ma l’ufficio tecnico ci riesce brillantemente, tanto che quel motore, evoluto, batte ancora oggi nel cuore della moderna Scrambler.
L’estetica firmata Marco Cuppini rompe col passato con linee spigolose e influenze manga che creano un design che sembra venire dal futuro, come una moto disegnata per un mondo che ancora non esiste.
La strategia commerciale punta sulla diversificazione e oltre alla 500, nascono le versioni da 600, 650 e 350 cc, quest’ultima pensata per i neo-patentati diciottennni, un mercato goloso, protetto dal contingentamento delle moto giapponesi e da un’IVA agevolata al 18%.
Peccato per i ritardi, la 350 arriva quando la festa è già iniziata e porta con sé difetti fastidiosi: ergonomia stradale discutibile nonostante il manubrio alto, rapporti del cambio infiniti, qualità costruttiva a giorni alterni.
Le versioni SL e TL, disponibili in 350 e 600 cc, provano ad allargare il pubblico mentre i numeri restano bassi e il 1983 è l’anno nero: si parla addirittura di chiudere il reparto moto.
La salvezza ha il volto dei fratelli Castiglioni che nel 1985 rilevano l’azienda e raccolgono l’eredità tecnica della Pantah; quel bicilindrico a “L”, nato nei giorni più bui, diventerà la spina dorsale del successo Ducati nei decenni successivi.